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L’incoscienza di Zeman, la coscienza di Baggio

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Malgrado l’impresa, Zdenek non sembrava meno serio del solito nel dopo-partita, e ai microfoni regalava l’abituale laconicità con punte superiori di amarezza e realismo. Ma era la situazione a essere ironica, senza bisogno di didascalie verbali. Dopo una vita almeno calcistica spericolata, fatta di (pochi) trionfi, (diverse) batoste, (motivate) polemiche al massimo grado contro chiunque gliele suggerisse, il boemo cristallizzato nello sguardo e nelle sigarette torna ad allenare la piazza nella quale aveva raccolto diacronicamente l’ultima messe di applausi, con la promozione in A del Pescara e quella a giocatori veri di Insigne ed Immobile. Torna come ultima spes, o come espediente distrattivo, per una società contestata e una squadra che è ultimissima e ha vinto solo a tavolino. Una squadra secondo gli annali statistici già retrocessa. Ma lui accetta di tornare, ha nostalgia di atleti che rimbalzino sui gradoni per potenziarsi nel gioco e nella testa, nella “psiche” come dirà lui poi, buone letture alle spalle. E difatti nei primi allenamenti viene visto seguirli mentre saltellano, perché “altrimenti non corrono, non percepiscono il loro corpo, la loro vitalità atletica”. Il pallone viene dopo. Ma non tanto dopo. Già ieri, di fronte a un derelitto Genoa comunque molto più avanti in classifica, il Pescara ne fa cinque in una volta, il contrario del solito quando li prendeva, ed è uno spettacolo per gli occhi e per gli umori cittadini. Vince, Zeman, e non illude nessuno.

Allora è proprio Zeman, mi dico, enigma di persona e geniere di allenamenti, è proprio lui con la sua “coscienza” dalla canzone dedicatagli da Venditti con il verso a Italo Svevo , che è poi una sublime forma di incoscienza. Magari da domenica si invertirà tutto “perché li ho trovati fuori forma”, chiosa sui suoi ragazzi increduli, magari i disequilibri tattici per cui è altrettanto famoso gli faranno pagare dazio, ma volete mettere con la flebo gigantesca di entusiasmo che ha garantito per un giorno e forse l’intiera settimana agli abruzzesi di mare che di questi tempi ne sentono tanto il bisogno metacalcistico? Non sono molti, ognuno per il settore che gli compete e che confluisce in quella partita strampalata che chiamiamo vita, a poter essere connotati dal famoso “se non ci fosse bisognerebbe inventarlo”. Il boemo dal vago profilo di lupo pensante è uno di questi. Con tutti i suoi limiti, per cui mi sarebbe piaciuto più presidente della FIGC che su una panchina (ma non certo ai giardinetti), ne sentivo nostalgia e anche coloro che lo detestano, in un ateismo fidelizzato al contrario, lo hanno ben presente nel loro presepe rotondolalico. Come ho nostalgia di tipi alla Baggio, anzi proprio di lui, Roberto. Forse il campione di classe più pura su questi schermi nell’ultimo trentennio, con Totti a ruota e poi Del Piero nelle gerarchie pittoriche dell’Avvocato, prima Raffaello e poi Pinturicchio.

Sabato Roberto ha compiuto cinquant’anni, e senza clamori indotti li è andati a festeggiare con commovente sensibilità ad Amatrice, tra chi non ha più nulla. E’ un gesto di uno stile di vita sublime, che può meravigliare solo chi non ha mai avuto sentore della serata dedicata al Franchi a Firenze a Stefano Borgonovo, di cui Baggio tra lacrime sorridenti spingeva la sedia a rotelle. Se ne sarebbe andato presto per la Sla, la “stronza”, quell’altra gran persona di Borgonovo, ma Baggio umanamente è ancor oggi nel mondo del calcio l’unico che lo possa fisicamente riportare in vita nella memoria. Puoi ricordate tanto, tutto del Roby calciatore, gol, assist, finte, sinapsi rapidissime spesso non capite, uno che rendeva apparentemente facile qualsiasi gesto. Ma in quella serata la sua umanità, il suo buddismo così signorile eppure pieno di fatica dopo una biografia agonistica assai accidentata, ne fa qualcosa di più. Così diversi e lontani, Zeman e Baggio, così ricchi di loro da poterli mettere insieme in una coscienza incosciente ricca di valori. Teniamoceli cari…

Oliviero Beha, Il Fatto Quotidiano


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